Coaching umanistico
Cos’è il coaching umanistico
Come è noto, il coach è un allenatore: si possono allenare facoltà fisiche e sportive, così come facoltà mentali, animiche e attitudini pratiche.
Ciò che mi ha subito affascinato del coaching umanistico, che mi ha fatto capire che era l’approccio giusto per me è che esso non allena a raggiungere obiettivi performativi richiesti dal contesto, ad esempio: “La mia azienda mi sta chiedendo di aumentare le vendite assicurative”.
Se il coach allena al raggiungimento di questo obiettivo ed esso viene raggiunto, ma il cliente si trova stressato e depresso, beh, nella prospettiva del coaching umanistico l’intervento ha toppato!
Il coaching umanistico parte dal presupposto che l’unico vero successo è quello che porta benessere e felicità alla persona che si rivolge al coach, pertanto l’esplorazione del coach riguarda sempre la felicità del cliente. Non si allena al raggiungimento di obiettivi che non rientrano nell’orizzonte di felicità del cliente.
Negli individui esistono delle risorse che, se messe in azione, producono sentimenti positivi e senso di felicità, queste risorse, nel paradigma del coaching umanistico, vengono chiamate potenzialità.
Pertanto il coach umanista è colui che cerca, nel racconto del cliente, tutti gli indizi possibili per costruite la rete di potenzialità del cliente che diventerà poi la bussola per guidare il suo percorso di allenamento, attraverso gli obiettivi e il piano d’azione.
Perchè ho scelto il coaching umanistico
Da che ho ricordo, mi hanno sempre accompagnato queste domande: perché il lavoro è sempre associato al dovere e mai al piacere? Perché svolgere un lavoro che non piace sembra una necessità? Perché tante persone sono infelici nel proprio lavoro? Non potrebbe essere diversamente? Non può essere che ogni individuo sia nato per sviluppare quei talenti che, sotto forma di potenzialità, sono la sfumatura unica della nostra anima?
Mi ha sempre affascinato conoscere le biografie di quelle persone che nella vita “hanno sfondato”, e non in termini di fama o denaro, ma in termini di felicità lavorativa, o, in senso ancora più ampio, vocazionale.
Cosa contraddistingue quelle vite? Chiarezza nel percepire la propria spinta vocazionale, il proprio orizzonte di felicità uniti a tanto ma tanto impegno e costanza. E, tante volte, nell’adolescenza di queste donne e uomini di successo, una guida adulta che ha saputo riconoscere la loro singolare luce e li ha esposti a quelle dimensioni in cui potevano sperimentare le loro specifiche potenzialità, un mentore dicevano gli antichi, un coach diremmo oggi.
Per anni sono andata alla ricerca di un metodo che potesse “lavorare” su questi due aspetti: riconoscimento delle potenzialità e allenamento delle stesse, con la finalità di facilitare gli individui a costruire il proprio percorso verso la propria realizzazione, che ovviamente non è qualcosa di dato una volta per tutte, ma è dinamica e perfettibile.
Nel 2018 sono approdata alla scuola che soddisfaceva i miei desideri: la scuola di coaching umanistico di Luca Stanchieri.
Perché umanistico
Perché pone al centro il potenziale umano, le risorse, versa bussola del percorso di coaching. Anziché concentrarsi sulle mancanze, sui difetti, su ciò che non va per cercare di aggiustarlo (paradigma ortopedico), si fonda la ricerca e l’azione sui punti di forza, sulle potenzialità.
Perché, proprio come gli umanisti rinascimentali, trova riferimenti solidi nei filosofi dell’antichità classica greca e romana. L’eudaimonia platonica: essere guidato dal buon daimon, dalla propria vocazione; la maiueutica socratica che, grazie ad un’azione ostetrica, aiuta gli allievi a far emergere ciò che è in loro (le risorse) e che deve solo essere portato alla luce, il concetto di aretè (virtù) come fondamento della felicità umana.
Perché come gli umanisti rinascimentali ripone fiducia nell’uomo, nelle sue capacità creative e positive, nella sua parte luminosa capace di abbracciare e illuminare anche le parti più oscure.
Potenzialità
Cosa non è
Le potenzialità non sono “ciò in cui sono bravo, ciò che mi riesce bene, ciò che faccio senza fatica e con successo”. Uno studente può essere un genio in matematica, ma non sentire che la propria realizzazione sia nel mondo matematico, non trovare il proprio significato in questa dimensione.
La storia di Andrè Agassi ne è esemplificazione. Tutti conoscono il suo talento per il tennis, eppure questo ragazzo, forzato dal padre ad allenamenti durissimi e decisamente efficaci dal punto di vista della perfomance, non era affatto felice di giocare a tennis a tali livelli.
Potenzialità e felicità
La potenzialità ha base “aretologica” (aretè: felicità in greco), è una risorsa che, se attivata, genera felicità. Essa è strettamente collegata ai valori che animano la persona. La potenzialità della cittadinanza per esempio anima chi si sente felice nell’apportare miglioramenti ad una comunità; la potenzialità della creatività ha a che fare con la virtù della saggezza, in quanto non solo porta ad una maggiore saggezza ma si fonda su di essa e in tal senso non può che generare idee, opere, azioni creative che apportano un beneficio che va al di là del singolo.
Caratteristica relazionale delle potenzialità
Tutte le potenzialità in verità hanno questa caratteristica relazionale: nel portare felicità alla persona che le esprime, la portano anche al contesto e a tutti coloro che ne beneficiano.
E qui si comprende perché il termine “umanistico” associato a questo approccio di coaching.
Come per gli antichi greci e latini, così per gli umanisti del Rinascimento, lo sforzo di miglioramento umano corrisponde ad una felicità che è non solo personale ma anche sociale.
Un riferimento forte del coaching umanistico è la maieutica socratica: Socrate in-segnava ai suoi alunni non attraverso un’azione di trasmissione della propria saggezza-sapienza, bensì attraverso un mostrare ciò che già era dentro di loro (in-segnare) per farlo emergere, farlo “partorire” per poi metterlo in azione, attraverso allenamenti cognitivi, espressivi e pratici. Egli stesso accostò la sua azione pedagogica all’arte ostetricia, la maieutica è appunto l’arte di portare alla luce le potenzialità dei discepoli.
Verso un nuovo paradigma
Mettere al centro di ogni azioni di orientamento e miglioramento umano le potenzialità significa costruire un nuovo paradigma.
Ancora oggi fatichiamo a prendere le distanze da un paradigma adattativo, per cui il contesto è dato dall’alto e il singolo non può far altro che adattarsi.
Basti pensare al mondo del lavoro. La visione è ancora quella di un mondo che viene plasmato dal mercato e che genera un numero limitato di posti di lavoro. Stando così le cose non rimane che entrare nella lotta per accaparrarsi quei posti e adattarsi ad essi, senza prendere in considerazione il contesto interiore: quali sono i miei valori, cosa amo fare e chi voglio essere? Cosa mi rende felice?
Il paradigma adattivo non solo genera infelicità nei singoli ma, oggi come oggi, sta mostrando la sua debolezza anche dal punto di vista economico. Il mondo del lavoro sta cambiando ad una tale velocità che non è neppure più plausibile formarsi per ricoprire un posto che tra qualche anno potrebbe non esistere più.
Oggi tutto ci spinge a spostarci verso un paradigma creativo, che pone al centro le potenzialità personali e che allenandole e mettendole in azione, crei contesti nuovi e occupazioni che si avvalgano del talento degli individui. Il talento è una potenzialità allenata fino all’eccellenza.
Abbiamo bisogno di nuove idee, di nuovi contesti, di nuove professioni e soprattutto di tanto più entusiasmo e felicità.
I riferimenti moderni: la psicologia positiva
Le potenzialità umane che rappresentano il fulcro del lavoro del coach umanistico sono state per la prima volta identificate dallo psicologo americano Martin Seligman in seguito ad un enorme lavoro di ricerca che si prefiggeva di individuare una lista delle risorse mentali delle persone. Fino ad allora infatti la psicologia aveva stilato soltanto manuali di disturbi delle persone.
Per fare questo vennero prese in considerazione opere filosofiche e letterarie corrispondenti a tremila anni di storia e che abbracciavano tutta la culture della Terra e si partì dal concetto di virtù intesa come bontà ed eccellenza.
La ricerca mise in luce che quasi tutte le tradizioni tenevano in conto sei virtù: saggezza, coraggio, amore, giustizia, temperanza e spiritualità. A ciascuna di queste virtù appartengono delle potenzialità che rappresentano una modalità specifica con cui gli individui tendono a quelle virtù.
Si capisce dunque come scoprire le potenzialità di un individuo significa anche delinearne il sistema di valori e la propria concezione di felicità, poiché la felicità è portata in essere dalla realizzazione di quei valori.